L’Aquila, il futuro della città in mano ai tecnici. Il caso del Centro nazionale del servizio civile e il Progetto Case
Dopo il precedente post sull’argomento che si basava su alcuni articoli di giornali, sono andato ad assistere alla commissione “Progetto Case: i progetti di riconversione e rifunzionalizzazione – il Centro nazionale del servizio civile universale e la Scuola Nazionale dei Vigili del Fuoco”.
I due progetti oggetto della Commissione corrispondono rispettivamente a 60 e 15milioni di fondi. I numeri sono più o meno quelli che già riportava la stampa e ho ripreso nel post precedente: 250 allievi per i vigili del fuoco che poi diventeranno 500, mentre più di un migliaio per il Centro del servizio civile Universale (CSU) che però inizierà con 100 alloggi a disposizione trovati già nella zona est nei quartieri di Bazzano, Sant’Elia e Paganica.
Un’iniziativa importante che porterà sicuramente un “indotto”, come è stato chiamato, e contribuirà a determinare il futuro di questa città.
Ma mentre il progetto della scuola nazionale dei vigili del fuoco è concentrato su un’unica area del progetto case, quella di recente sgomberata appositamente di Sassa SNC, quello della Centro del servizio civile sarebbe diffuso su più quartieri e ancora “flessibile”, come affermato dal il titolare dell’USRA, Salvo Provenzano e si può vedere in questo documento rilasciato che ne evidenzia anche l’ambiziosità.
A tal proposito, una sensazione che ho avuto dalla discussione in commissione, è che a decidere sul futuro dell’Aquila ormai siano i tecnici mentre la politica amministra per quel che può.
Ad esempio chi ha deciso che sia opportuno utilizzare, per accogliere gli studenti e/o le strutture della Centro nazionale del Servizio Civile, l’area centrale del Progetto Case di Sant’Antonio? In base a quale idea di città sarebbe stata fatta questa scelta? Per gli interessi prioritari di chi? Perché togliere, anche in parte, alla popolazione residente all’Aquila un’area così? Era già disponibile il quartiere totalmente vuoto di Coopito 2, perché non si è usato quello che sembra molto adatto? Sì lì ci sarebbe una delibera per cui andrebbe destinato a un progetto dell’INGV il cui iter però si è impelagato in un contenzioso, ma forse sarebbe il caso di rivederle alcune scelte in base agli obiettivi che ci si pone, sempre che quest’Amministrazione abbia degli obiettivi, certo.
Ma la domanda principale a cui mi piacerebbe avere una risposta è: qual’è il futuro del Progetto Case? Al netto di possibili (auspicabili) demolizioni, la politica locale ne contempla anche un utilizzo futuro legato alle politiche sull’abitare sociale, visto che ad oggi quelle abitazioni stanno già assolvendo un tale ruolo, o no? D’altronde come si fa a tornare indietro?
Sarebbe il caso di fare un’indagine per capire in futuro quanti, di questi Progetti case e i loro appartamenti, sia opportuno mantenere legati a politiche sociali sull’abitare e con quali risorse. O si agisce a casaccio, giusto per togliersi un peso? Non si riescono a gestire? Si trovi il modo di farlo allora piuttosto che sbarazzersene con le persone (povere) dentro.
Perché l’unica idea sul futuro dei progetti case, a quanto pare, è cederli a terzi. Certo una commistione tra le due cose può essere positiva, ma ugualmente andrebbe governata dalla politica in base a un’analisi corretta dei bisogni e di una visione della città futura a livello socio economico ed urbanistico che contempli la lotta alle diseguaglianze e persegua una sostenibilità ambientale. Altrimenti che tipo di città diventerà ?
Intanto oggi dai tecnici e i loro studi “scopriamo” che gli spazi condizionano la qualità della vita e delle relazioni in un quartiere, che c’è bisogno di curare gli spazi pubblici e attrezzarli per attività e servizi come sale per lo sport e il cinema (presenti nel progetto dei nuovi Progetti case destinati agli allievi) e di collegamenti tra le aree e il centro, e anche di un sociologo che aiuti l’Amministrazione a comprendere come sia più dignitoso abitare.
Ma a qualcuno dei nostri amministratori non è venuto in mente che molto del disagio che poi ci ritroviamo al terminal di colemaggio, per esempio, sia il frutto proprio di questa mancato andare incontro ai bisogni della popolazione che vive in periferia, abbandonata finora dalle istituzioni ? Un sociologo che aiuti l’amministrazione sì serve, ma adesso, come gli spazi e i servizi che i tecnici hanno pensato giustamente per i futuri allievi del CSU. Sarebbero investimenti in walfare che abbatterebbero costi legati alla sicurezza, l’ordine pubblico, la sanità e la repressione. Investimenti che ugualmente sarebbero potuti essere opportunamente fatti prendendo i fondi del Pnrr (al posto di qualche ripavimentazione magari) o dal bando periferie (15milioni persi da quest’Amministrazione). Le scelte sono sempre questione politica, non tecnica.
Continuo a chiedermi anche se le famiglie che in questo momento abitano nelle piastre per esempio di Sant’antonio, che verranno abbattute per essere rifunzionalizzate o comunque modificate per essere date agli allievi della scuola del servizio civile, lo sanno che dovranno andar via? Per andare dove?
Perché se si decide sopra le teste delle persone senza curarsi dei loro bisogni, poi non servirà il sociologo ma, purtroppo, le forze dell’ordine. E a quel punto le responsabilità non saranno dei tecnici, ma della politica.
Alessandro Tettamanti